Chiara

Sono Chiara, sono un medico abilitato, mi sono laureata a Marzo 2016.

Durante gli anni dell’università ero molto scontenta del ruolo che avevano gli studenti di medicina durante i tirocini. Spesso i lavoratori del Policlinico erano troppo occupati per insegnare agli studenti, in molti casi non esisteva un vero e proprio progetto didattico legato ai tirocini fatto di conoscenze pratiche da acquisire.

Alla luce di questa situazione e alla ricerca di un’esperienza a stretto contatto con colleghi e pazienti, sono partita per 3 mesi di tirocinio all’estero. Era il mio V anno di Medicina e ho frequentato l’Hopital de la Conception di Marseille, in Francia.

La Francia ha una storica tradizione accademica che pone lo studente al centro del team di lavoro: in ospedale come studentessa sono stata coinvolta e formata durante il lavoro in reparto. Per capire l’importanza che la formazione medica in Francia conferisce ai tirocini basta pensare che questi ultimi sono retribuiti: una cifra simbolica, certo, ma sono retribuiti.

Durante quei mesi ho fatto le mie prime visite da sola ai pazienti, imparato a leggere gli esami di laboratorio e i tracciati ECG. Mi sono messa alla prova per la prima volta come medico: avevo i miei pazienti di cui ero responsabile in prima persona e questo è stato passo importantissimo di consapevolezza e di acquisizione di qualità professionali e umane.

L’esperienza dell’Erasmus mi ha dato nuova motivazione e, una volta tornata in Italia, in poco più di un anno ho dato 10 esami e mi sono laureata.

Durante il mio VI anno ho frequentato quasi quotidianamente il reparto di Geriatria del Policlinico e  terminato i miei studi con una tesi sperimentale nella stessa disciplina. Durante il periodo della tesi ho incontrato come tutor medici di grande valore umano e professionale. Sono stata accolta dal personale del reparto come una presenza piano piano sempre più familiare. Molti dei medici e degli infermieri del reparto hanno speso il loro tempo per insegnarmi qualcosa. Ho in qualche modo un bellissimo debito con ognuno di loro.

Dopo la laurea ho provato alcune volte il concorso nazionale per il conferimento delle posizioni di specializzandi: vorrei specializzarmi in Geriatria o in Medicina Interna.

Dalla laurea non ho mai smesso di lavorare e questo ha reso più difficile preparare il concorso, che è molto selettivo e nozionistico.

Ho iniziato a lavorare facendo il medico di guardia in alcune cliniche private della mia città: per un turno di notte di 12 h prendevo 90 euro lordi (7,5 €/h, meno di una baby-sitter) ed ero responsabile da sola di oltre 200 pazienti molto anziani (spesso affetti da multiple patologie croniche e totalmente dipendenti). Nonostante il carico di reponsabilità rapportato al  compenso, la responsabilità medica e legale sarebbe stata solo la mia.


“Per un turno di notte di 12 h prendevo 90 euro lordi. Nonostante il carico di responsabilità rapportato al compenso, la responsabilità medica e legale sarebbe stata naturalmente solo la mia”


Il medico libero professionista neolaureato è mandato allo sbaraglio a fare guardie notturne negli ospedali privati: l’esperienza nella gestione delle emergenze la apprende a sue spese e sulla pelle dei propri pazienti. Senza un corso di formazione post laurea (specializzazione/ corso mmg) non ha modo di fare le proprie esperienze con la supervisione tutor e colleghi più anziani. Questo tipo di “gavetta” ci impone di formarci da soli al di fuori dei percorsi post-laurea ufficiali.

Ho potuto permettermi di lasciare questo lavoro insieme al suo scandaloso compenso perchè ho iniziato a lavorare con i colleghi della Geriatria grazie a una borsa di studio. Per un altro anno ho potuto lavorare nel reparto della mia tesi: ho affiancato colleghi bravissimi e fatto tanta esperienza. Il medico che sono oggi esiste grazie a quello che ho imparato da loro.

Alla fine di quell’anno, la borsa di studio non c’era più e ho dovuto lasciare il reparto, ricominciando da capo a cercare lavoro. Nel frattempo avevo provato il test per le specializzazioni, che è stato fatto quell’anno in ritardo di mesi e con modalità nuove rispetto agli anni precedenti. Ricordo che il giorno prima del concorso ero stata in reparto fino alle 17.

Dopo la borsa di studio in geriatria, ho lavorato come medico prelevatore, fatto la traduttrice dal francese,organizzato eventi di divulgazione medico-scientifica, lavorato con gli studenti dei licei. La motivazione a continuare a inseguire l’obiettivo della specializzazione (il più ovvio e lineare dei modi per completare la formazione di un medico) andava e veniva a causa della vita precaria che facevo e del cattivo esito del concorso per le specializzazioni. 

Ho ripreso poi a lavorare in Geriatria grazie ad un’altra borsa di studio della durata di 6 mesi: ci ho messo tutta me stessa e ho imparato tantissimo. Ho riprovato il concorso, sempre ritagliando il tempo per studiare tra un turno e l’altro in ospedale e prendendomi alcuni giorni di ferie prima del concorso. Non è andato come speravo. Il concorso è un quiz a crocette: più  divento un medico esperto, peggiori punteggi faccio al concorso.


“Ritagliando il tempo per studiare tra un turno e l’altro in ospedale, ho riprovato il concorso per la specializzazione. Si tratta di un quiz a crocette: più divento un medico esperto, peggiori punteggi faccio in quel test”


Ad oggi i contratti in geriatria sono finiti, ogni tanto sostituisco qualche collega in ASL, ogni tanto penso di ricominciare a lavorare nelle cliniche private, mi arrabatto tra diversi lavoretti tutti precari e sottopagati. Nel frattempo ho 30 anni, una famiglia e le competenze di base per diventare il medico che vorrei. Non vedo l’ora di poter completare la mia figura professionale con la specializzazione. Da 4 anni non vedo l’ora. 

Ma meno della metà dei medici italiani può specializzarsi, a causa della mancanza di fondi statali. Senza specializzazione posso essere solo un medico di guardia, per di più precario, non lavorerò mai in ospedale. Esigo di poter accedere alla formazione  specialistica. E sono infuriata, anzi indiavolata.


“Mi arrabatto tra lavori precari e sottopagati. Ho 30 anni e le competenze di base per iniziare la specializzazione. Ma meno della metà dei medici italiani può specializzarsi a causa della mancanza di fondi statali”


 

EMERGENZA COVID

Altri colleghi hanno parlato dell’ambiguità del nostro ruolo nella situazione attuale legata alla pandemia COVID. Scelgo quindi di iniziare a fare luce invece su quello che sta accadendo al nostro sistema sanitario pubblico.

Da anni i principali ospedali italiani sono soggetti a progressiva privatizzazione ed aziendalizzazione. Un ospedale che lavora come un’azienda privata persegue esclusivamente il profitto: la salute dei cittadini non è il primo interesse di un’istituzione del genere.

Questo panorama ha portato a ingenti tagli sul personale (i medici pensionati non vengono sostituiti da colleghi giovani, gli infermieri sono cronicamente sotto organico nella maggior parte dei reparti) e ha posto indiscussione l’universalità dell’accesso alle cure. 

Sempre più convenzioni con cliniche e strutture private sorgono negli ospedali pubblici. Ad oggi i prezzi per una risonanza magnetica nel pubblico e nel privato sono paragonabili: cosa succederà quando nel pubblico i tempi d’attesa diverranno davvero insostenibili e nel privato si deciderà di alzare molto i prezzi? Chi potrà permettersi allora di curarsi? 

In un’emergenza come quella odierna legata a una patologia infettiva, l’importanza del sistema sanitario pubblico è fondamentale. I risultati dei tagli operati negli ultimi decenni e della regionalizzazione del SSN sono stati messi a nudo: mancano infermieri e medici specialisti, nei primi momenti dell’emergenza è mancato un approccio nazionale coordinato.

Riflettiamo sulla preziosa ed esemplare istituzione di salute pubblica ideata poco più di 40 anni fa con la creazione del Sistema Sanitario Nazionale (SSN). I risultati drammatici della sua frammentazione e progressiva privatizzazione sono figli delle politiche economiche degli ultimi decenni. Riflettiamo sui rischi che corriamo tutti se affidiamo la nostra salute agil interessi  di aziende private.


“Di fronte a una pandemia come quella da SARS COVID-19, il sistema sanitario pubblico è fondamentale. 
Riflettiamo sui rischi che corriamo tutti affidando la nostra salute agli interessi di aziende e ospedali privati”