Elisa

Sono Elisa, dottoressa laureata nel 2015, abilitata nel 2016. Il mio percorso lavorativo è stato molto movimentato, nel vero senso della parola. Dopo l’iscrizione all’ordine dei medici, ho trascorso un paio di mesi portando in giro CV per le varie case di cura della mia città adottiva, Bologna. Avevo risposto anche ad un annuncio su Facebook di un collega che cercava medici per una casa di cura. La cosa tragicomica della situazione fu che, di fronte all’ancor mancante numero di iscrizione all’albo, mi venne contestata la mancanza di esperienza.

Certo, ero agli inizi, ma come si fa a trovare un medico con esperienza, se nessuno la fa fare?
Grazie a mia sorella, iniziai a fare il medico di guardia in una clinica privata di Roma, mentre una collega mi chiedeva di sostituirla occasionalmente nei prelievi nella zona di Modena, Il primo mese di lavoro, presi si e no 400 euro, sommando tutti gli introiti. Per almeno sei mesi, feci spola tra Bologna, Modena e Roma, per riuscire a tirare su uno stipendio decente. Ringrazio di avere alle mie spalle una famiglia supportiva, che mi ha coperto le spalle in quel periodo difficile. Poi mi chiamarono in una villa a Bologna, 90 euro per 12h, in un posto anche fuori dalla città, difficile da raggiungere senza mezzi.
Grazie ai prelievi e grazie al passaparola di un collega, mi chiamarono in un’altra clinica, dove cercavano in primis un medico prelevatore, in secondo luogo un medico di guardia. Andando avanti nel lavoro di medico di guardia presso anche altre cliniche, mi resi conto di una verità sconcertante: la totale mancanza di rispetto per la figura del medico, o meglio, del medico di guardia, spesso trattato come ultima ruota del carro da infermieri, oss e persino dai pazienti stessi, in virtù della sua giovane età. L’altra verità era la totale assenza di tutele.


“Mi sono presto resa conto di una verità sconcertante: la totale mancanza di rispetto e di tutele per la figura del medico di guardia, in virtù della sua giovane età e la totale assenza di pratica che ci portiamo avanti dal momento in cui entriamo all’università a quando ne usciamo.”


Tutto dipendeva dalla nostra organizzazione. Saltare da una clinica all’altra, da un turno all’altro, nella speranza di portare a casa uno stipendio accettabile.
Mi resi conto anche della totale assenza di pratica che ci portiamo avanti dal momento in cui entriamo all’università a quando ne usciamo. Ci troviamo catapultati nell’universo lavorativo, formati a metà. Tanta teoria, ma nessuna pratica. Ho imparato a fare I prelievi per averlo chiesto direttamente agli infermieri. Per non parlare poi di tutti gli altri atti pratici che un medico dovrebbe saper fare. In una clinica è compito del medico di guardia eseguire un’emogasanalisi. Credo che siano pochi I medici capaci di farle, che non siano anestesisti.
Nel corso degli anni, ho sperimentato molti “universi” lavorativi: medico prelevatore, medico di guardia, sostituzioni di MMG, medicina interna, fino ad approdare nella continuità assistenziale e nella medicina penitenziaria, realtà molto simili (a differenza di quanto si pensi). Ho cercato anche di trovare la mia strada formativa, capire cosa fare “da grande”. Ebbene sì, nel mare magnum delle nostre specializzazioni, è difficile perdersi dietro ad un sogno, un’idea o una passione momentanea. In quest’ultimo anno ho frequentato il MET, un corso per l’emergenza territoriale (il 118, per intenderci). Da lì ho trovato non dico la mia strada, ma per lo meno una direzione verso cui procedere. Mi piacerebbe diventare anestesista o emergentista, esserci quando il paziente è ancora più vulnerabile.


“In quest’ultimo anno ho frequentato il MET, un corso per l’emergenza territoriale. Mi piacerebbe diventare anestesista o emergentista, esserci quando il paziente è ancora più vulnerabile.”


EMERGENZA COVID
Ammetto di essere stata molto crudele, all’inizio di questa epidemia. Quando vedevo la gente chiedere la presenza dei medici, ho pensato: “ecco, adesso dovremmo incrociare le braccia e far capire cosa vuol dire, stare senza specialisti. Per 20, 30 anni la sanità è stata vilipesa e esautorata, e questo è il risultato. C’è un’epidemia e la politica italiana non è stata capace di guardare oltre la punta del proprio naso. Le armi di guerra si preparano in tempo di pace”. Nonostante questi pensieri, ho cercato di fare il mio meglio per supportare e confortare chi avevo di fronte, soprattutto I pz più anziani. Durante un turno in Continuità Assistenziale, mi chiamò una Signora piuttosto anziana, preoccupata per questa epidemia, che non sapeva con chi parlare. Stetti 40 min al telefono (era il turno d notte) a parlare con lei e cercare di placare la sua ansia.
In tutto ciò, tutta la medicina territoriale sta affrontando questa guerra senza le giuste armi, navigando a vista, di fronte ad un nemico capace di evolvere un quadro clinico in un battito di ciglia.


“Ho cercato di fare il mio meglio per supportare e confortare chi avevo di fronte, soprattutto i pazienti più anziani. La medicina territoriale sta affrontando questa guerra senza le giuste armi, navigando a vista, di fronte ad un nemico capace di evolvere un quadro clinico in un battito di ciglia.”


Vorrei potermi specializzare. Vorrei poter essere realmente utile. Essere presente e pronta, nel momento in cui l’Italia ha e avrà bisogno. Noi vogliamo esserci, ma non possiamo andare in guerra con le scarpe di tela. Ne va della salute, di tutti.
In un libro ho letto che la civiltà passa da un femore rotto. Nel mondo animale, un femore rotto vuol dire morte certa. Nella società evoluta, un femore rotto viene curato. Ma servono le figure giuste.


“Vorrei potermi specializzare. Vorrei poter essere realmente utile.
Ma serve avere una preparazione adeguata.”