Elle

Mi chiamo Elle e mi sono laureata a marzo 2016. Al contrario di molti, la mia famiglia avrebbe preferito per me un percorso più scientifico e meno emotivo, un percorso in cui la mia vena polemica non avrebbe dovuto imbattersi con dei cattedratici posti in sede non per meritocrazia ma per familiarità che, ai primi anni della formazione, anziché incoraggiare gli studenti e spiegargli che le materie mnemoniche fossero le basi per la clinica futura, sentenziavano ad una ragazza di 19 anni “sei sicura che questo sia il tuo posto?”

Non posso dire che i miei anni di studio siano stati facili ma ho cercato fin da subito di crearmi un habitat che mi concedesse ancora di essere me stessa, grazie alla partecipazione attiva alla vita associazionistica studentesca ho provato da subito a cambiare da dentro ciò che per noi studenti non poteva essere formativo, ore ed ore ai tavoli dei consigli per poi tornare in sala studio non erano semplici da gestire. Allo stesso tempo però quell’associazionismo mi ha permesso di portare avanti i temi a me cari insegnandomi che da una piccola idea può nascere qualcosa di utile ed inoltre mi ricordava ogni giorno del perché fossi ancora lì, nonostante le difficoltà e talvolta i ripensamenti: come mi ha insegnato il mio medico di base, non si può solo curare la patologia fisica ma bisogna considerare tutto ciò che determina la salute. La mia “carriera” universitaria dunque ha dovuto per forza arricchirsi di stimoli a tutto tondo e collaborazioni con studenti di altre facoltà verso uno scopo comune. Durante i sei anni da studentessa, il tirocinio più formativo, è stato però, purtroppo, il mese passato in Bosnia Eregovina al sesto anno, in cui non ero carta da parati come nella maggior parte dei tirocini nella mia facoltà, ma un essere pensante ed utile.

Il giorno della laurea, dopo un faticoso ma meraviglioso anno chiusa in un ambulatorio della Neurologia Pediatrica a buttar giù dati e sangue, già sapevo che il peggio sarebbe dovuto ancora arrivare. Nel giro di 3 mesi ho dovuto svolgere i tirocini per l’esame di abilitazione (per alcuni pura pure formalità, per me un grande momento di crescita, con le prime notti e le prime volte in cui vieni trattato da medico)e subito il tanto temuto concorso. Quello è stato l’ultimo anno in cui il concorso nazionale ha avuto le 3 scelte a priori: giornate intere a capire quali 3 scuole scegliere, intere giornate per il giusto ordine delle città. A 4 giorni dall’esame di abilitazione sono iniziate le 4 giornate di concorso.


“L’anno in cui ho provato per la prima volta il test per le scuole di specializzazione è stato l’ultimo in cui il concorso nazionale ha avuto le 3 scelte a priori. A 4 giorni dall’esame di abilitazione sono iniziate le 4 giornate di concorso.”


La spinta, a me e a molti altri che si trovavano come me in questa maratona contro il tempo e i propri fisici, era data dalla speranza di poter subito entrare nella specializzione amata, di continuare magari il lavoro avviato con la tesi e di avere qualche certezza almeno per i prossimi 4 o 5 anni. Alla fine di quelle 4 giornate la speranza era ancora viva in me dato che il mio punteggio tutto sommato non era basso ma, dopo un’estate comunque vissuta nell’ansia, è risultato per nessuna delle tre Scuole, all’epoca non c’erano scorrimenti e quindi, pur avendo accantonato già l’idea di Pediatria, sono rimasta lì, sull’uscio di Neuropsichiatria per un punto e di Genetica Medica per due.


“Sono rimasta lì, sull’uscio di Neuropsichiatria per un punto e di Genetica Medica per due.”


Magari, se quella prof quel giorno invece di insultare me e una mia collega dopo una telefonata andata male, mi avesse ascoltata senza pregiudizio o se quella volta non avessi rifiutato un voto buono per provare ad avere di più perché l’ansia e la famiglia giocano sempre il loro peso, avrei avuto in quel momento quel punto sufficiente che non mi avrebbe portata a dove sono io. Ma la storia non si fa con i “se” e con i “ma”.

Delusa e speranzosa per l’anno successivo, con ancora un sogno nel cassetto, ho subito iniziato a lavorare, partite di calcio, altri sport, impieghi saltuari e retribuiti dalle 18 ai 21 euro/h, poi in una clinica privata con gli stessi criteri di paga, in cui ho dovuto in primis dimostrare che la mia formazione era pari se non superiore a quella di qualcuno che aveva fatto la tesi con prof più illustri e materie più note.


“Delusa e speranzosa per l’anno successivo, con ancora un sogno nel cassetto, ho subito iniziato a lavorare, partite di calcio, altri sport, impieghi saltuari e retribuiti dalle 18 ai 21 euro/h, poi in una clinica privata”


Quel luogo in cui ho lavorato per un paio di anni mi aiutata a capire ancora di più il medico che vorrei essere e ciò che mai vorrei diventare. All’inizio ho provato a continuare a frequentare il mio reparto di tesi, pagando anche un’assicurazione sul rischio, avrei voluto avviare un nuovo database, e mi era stato detto che avrei dovuto scrivere una review sul “mio” argomento (dopo un po’ che raccogli dati, li porti a casa, li rielabori, quel lavoro lo consideri un tuo prodotto), ma non essendo in specializzazione e non avendo alcun tipo di borsa di studio le consegne mi vennero date mesi dopo, quando ormai coordinare la frequenza volontaria, il lavoro e lo studio per il prossimo concorso era diventato impossibile.

Nel 2017 il Ministero con comunicati emanati all’ultimo minuto legale, decise di cambiare la modalità di scelta delle borse, instituendo il concorso così come è ora e quindi anche di slittarlo a dicembre, invece di quel luglio a cui tutti si preparavano. Ne conseguì, per me, un attacco di panico in sede concorsuale, con il diniego totale per la Medicina a posteriori.

Proprio perché anche i medici devono pagare le bollette, ho continuato a lavorare e a studiare, in apnea, ancora ed ancora per quel concorso, sognando che quello sarebbe stato l’anno di svolta, la fine della precarietà, l’inizio delle certezze. Intanto per pensare a se stessi e alle proprie passioni, a quell’impegno civile che sa sempre mi contraddistingueva, non c’era tempo in quel limbo. Sempre più apatica e disillusa mi sono seduta ancora due volte in sede concorsuale e sono rimasta sono rimasta fuori per un soffio, su quell’uscio che in altri Paesi d’Europa non sarebbe esistito. L’Italia aveva investito su di me ma per cosa? Per donarci alla sanità privata o alle sostituzioni di MMG a cui conviene più avere un sostituto e stare in vacanza che andare a lavorare? Per avere medici da mandare nelle notti in periferie senza alcuna protezione? Con una porta che si apre con un soffio? (avendo iniziato la continuità assistenziale, mi sono calata in quel territorio dove se si lavorasse bene si potrebbero ottimizzare molte spese sanitarie ed attuare una vera prevenzione, qui ho incontrato colleghi giovani con i miei stessi sogni, la mia stessa stanchezza e quella sorta di resilianza ed ho potuto toccare con mano il pericolo a cui spesso i medici di guardia medica e del territorio sono posti).

Io così precaria e sempre più grigia e la richiesta di specialisti sempre in aumento. Ogni anno borse promesse ma non rilasciate. Ogni anno ospedali smantellati. Dopo il concorso 2019 e lo sdegno degli scorrimenti rimbalzati per mesi tra le stesse persone, irresponsabili ed egoiste come molte della classe medica, in una nazione in cui quasi tutti pensano principalmente a se stessi ed al proprio tornaconto, dove si preferisce spendere in armi ma non in sanità, ho capito che non potevo più continuare a farmi corrodere dal grigiore e dalla rabbia di essere sempre ad un passo dai miei traguardi ma dovevo tornare ad essere più me stessa, ritornare a parlare anche di mafia e malasanità, di sprechi, di prevenzione della malattia, di medicina sociale, dato che magari non solo il mio pensiero avrebbe potuto sollecitare qualcun altro ed insieme fare più rumore, ma la mia passione tornava a riempire quella nebbia che anni di studio fine al test avevano creato dentro di me.


“Io così precaria e sempre più grigia e la richiesta di specialisti sempre in aumento. Ogni anno borse promesse ma non rilasciate. Ogni anno ospedali smantellati.”


Se prima la rabbia diventava emicrania e gastrite ora questa rabbia è di nuovo sdegno esterno. Perché è vero che sul campo si imparano nozioni, ma servono delle strade su cui camminare, dei punti di riferimento e di confronto da cui imparare. SONO INCAZZATA e non poco!

Emergenza Coronavirus

SONO INCAZZATA. NERA!

Italia, oggi ti rendi conto che sulla carta abbiamo il miglior sistema sanitario esistente? Che offre un’assistenza universalistica e trasversale? Che non può però permettersi una pandemia perché ci sono stati solo tagli! Tagli alle strutture sanitarie, tagli nelle assunzioni, mai nessun incremento di contratti e di borse di specializzazione in quantità sufficiente a soddisfare la richiesta nazionale.


“SONO INCAZZATA. NERA! Italia, oggi ti rendi conto che sulla carta abbiamo il miglior sistema sanitario esistente? Che offre un’assistenza universalistica e trasversale? Che non può però permettersi una pandemia perché ci sono stati solo tagli!”


Italia oggi ti rendi conto che non abbiamo abbastanza posti di terapia intensiva? Ora ti rendi conto che invece di dirottare più soldi sulla sanità privata, convenzionando o smantellando ambulatori pubblici, avresti dovuto ottimizzare i sistemi di cura primaria e quelli di risposta all’emergenza? Oggi vieni a conoscenza della problematica delle specilizzazioni? E pensi quindi di aumentare i posti in Medicina quando di medici ce ne sono ma MANCANO SPECIALISTI. Tu italiano che invece di pretendere più medici pretendevi che il pronto soccorso fosse più rapido, in un arcobaleno di codici, perché tu avevi bisogno di recarti lì per lombosciatalgia o mal di denti, adesso prima canti le gesta eroiche e poi minacci i medici con alcuni avvoltoi avvocati perché non ti è stato fatto subito immediatamente un tampone, ti chiedi perché i tamponi non vengono spacciati come lecca lecca?

Che gli sforzi del SSN vengano ricordati nelle prossime agende economiche e che tutti si rendano conto di come debba essere utilizzato e non abusato. Che un’emergenza simile non debba più avvenire ma nel caso in cui essa avvenga ancora che ci trovi pronti ad affrontarla.

Intanto, anche se attendo gli esiti di un concorso e dovrei prepararne un altro, continuo a lavorare in continuità assistenziale, gestendo di notte e nei weekend quei pazienti che ora vengono abbandonati dalla classe medica più anziana per timore del coronavirus, anche spesso assumendo funzione di psicologo per quei pazienti che ci chiamano con gli attacchi di ansia (signora conosco quei sintomi). Quando non sono in CA sono nelle USCA, da camice grigio non posso fare di più per aiutare i miei colleghi stremati in ospedale e quindi sono lieta di poter essere in questi mini nuclei di gestione territoriale per tentare di riconoscere i casi il prima possibile e terapizzare chi non necessita di un ricovero ospedaliero, perché territorio ed ospedale dovrebbero sempre comunicare così. Ho paura, come molti colleghi, sono lontana dalla mia famiglia, dal mio ragazzo, temo di infettare la mia coinquilina, ma se sono arrivata fino a qui, oggi, con la mia storia, non posso fare a meno di fare ciò che faccio ed anzi, vorrei poter essere meno grigia e poter aiutare di più.